3 date - 3 Laboratori
3 date - 3 Laboratori
Alessandro Comandini
Andrea Bernabini
Diego Salvador
Paola Musumeci
©2022 - Fag - Design by Monica Bisin
About
Artista visivo e sperimentatore da anni di nuove tecnologie, privilegia nel suo linguaggio artistico la fotografia da cui proviene la sua formazione e il video. Ha esposto le sue opere in diverse mostre personali e collettive, in Italia e all’estero, come Flash Art Museum di Trevi , Museo dell’informazione e Arte contemporanea di Senigallia, Triennale di Milano, Raccolta Lercaro di Bologna, Museo Diocesano di Faenza, Meresheme a Monaco, Art museum a Sharjah. Ha realizzato reportage in diversi paesi del mondo ed è stato sponsorizzato dalla fondazione Polaroid per le sue ricerche e manipolazioni innovative su materiali Polaroid professionali. Inoltre, è stato recensito da numerose riviste specializzate quali Tema Celeste, Zoom e Flash art, Gente di Fotografia, Otto e mezzo.Direttore Artistico di Festival di Arti performative e docente di Arte applicata alle nuove tecnologie come la video installazione di grandi dimensioni, ha realizzato Artwork multimediali su 14 Monumenti UNESCO in Italia e all’estero.Esposizioni 2024\25 Cesena, Galleria D’arte Pescheria, “BOX 202”Verona, Ministero delle politiche Agricole, “BOX 202”Faenza, Museo Diocesano, “Dove abita l’uomo”London, Life Frame Contest, Selezionato da Emi Vitale del National Geographic con “Il segno dell’acqua” come uno dei 10 vincitori.Athene Photo Festival, selezionato nella short list per l’esposizione ad Athene, con il segno dell’acqua.Montecchio Fotografia,Reggio Emilia “Welcome” San Donà di Piave, Galleria “Coetus” Il segno dell’acqua”Palazzo San Giacomo, Russi. Il segno dell’acqua, esposizione personale.Galleria Ostello, Venezia. Il segno dell’acquaLa Fondazione M.Pesaresi del Si Fest ha acquisto 10 fotografie de “Il segno dell’acqua”Fototeca Savignano Si Fest “Tagliata dalle acque la terra” mostra collettiva.
Andrea Bernabini
Derma Ottico
Polaroid e manipolazione manuale in tecnica mista
La mia poetica indaga la memoria come materia viva che si modifica senza annullarsi. L’immagine diventa un palinsesto: macerata, bagnata, incisa, eppure capace di custodire una traccia resistente. Quella traccia—come una cicatrice—non è il fallimento del ricordo, ma la sua prova di esistenza. Lavoro sull’immagine come si lavora su una ferita: la contamino, la lascio reagire, la incido, la altero, la curo.
In Derma Ottico intervengo sulla pelle della Polaroid per accogliere l’alterazione come forma di memoria. Mi terrorizza l’idea della perdita definitiva dei ricordi: volti, gesti, luoghi, emozioni. Per questo pongo l’immagine nella zona critica in cui il tempo tenta di cancellare e la memoria insiste a trattenere. Lì, nel margine di resistenza, succede qualcosa: ciò che si disgrega lascia un segno; ciò che si sfalda diventa scrittura residua. Non insegno all’immagine a durare contro il tempo, la educo a durare col tempo: un’archiviazione non contro la trasformazione, ma attraverso la trasformazione.
La fotografia smette di essere un sigillo e diventa organismo. Nel gesto manuale su pellicola, la materia reagisce; ciò che sopravvive è una topologia della traccia: non il “come era”, ma il come resta. Questa è la mia etica dell’immagine in Derma Ottico: prendermi cura del residuo. Accettare che la memoria non è un deposito, ma un processo. E che ogni alterazione, se guidata, può diventare forma di verità, la verità di ciò che continua ad apparire mentre scompare. Se la memoria individuale teme l’estinzione, l’opera risponde con una politica del residuo: l’importante non è salvare l’identico, ma garantire la continuità del senso. La macerazione della Polaroid espone la materialità dell’icona e ne deriva un’estetica dell’impermanenza leggibile: si vede il deterioramento, ma si legge la permanenza del legame. Il ferro arrugginito che le accoglie non è sfondo, diventa complice e reliquia: una materia che porta addosso l’usura, la memoria, il tempo.
Realizzazione
Il lavoro in BN è realizzato su lastre Polaroid 10x12 Type 55 esposte con Banco Ottico. Il colore su pellicole Polaroid 6x9 type Procolor 669. Le pellicole Polaroid 10x12 Type 55 in BN dopo lo scatto lasciano un immagine positiva immediata ma anche il negativo, una volta esposte venivano immerse in una soluzione X appoggiate su una piccola grata forata con due manici, questa soluzione nel tempo (circa 7\15gg) faceva sollevare l'emuslione da supporto plastico trasparente. A questo punto veniva tolta dalla soluzione e iniziano gli interventi, come spostare l'emulsione con dei cottonfioc o piccole spatoline, creando forme nuove materiche,oppure appoggiandogli sopra piccoli insetti morti oggetti vari, poi il tutto veniva fatto essicare e nel caso si fanno altri interventi ulteriori. Modificando l'ingranditore si possono eseguire stampe uniche e irripetibili perche il processo di deterioramento continua nel tempo quindi la stampa successiva è diversa da quella precedente, stessa cosa vale se è stata fatta una riproduzione in digitale.Le pellicole Polaroid 6x9 type Procolor 669 non hanno il negativo, esce una stampa positiva diretta a sviluppo immediato dopo la separazione da una sorta di negatico cartaceo che viene cestinato perchè pieno di rimanenze di acidi gelatinosi serviti per lo sviluppo del positivo. Il lavoro è nato sul recupero di questi negativi cartacei, quasi illegibili ma una volta immersi nella soluzione X riemerge una sorta di immagine latente con varie dominanti. Da questo momenti gli interventi sono di varia tipologia dal raschiamento dell'emulsione con pennini stilografici, cutter e spatole a dipingere con piccoli pennelli fino a riutilizzare lo stesso gel presente sulla pellicola. A interventi finiti viene fatto asciugare e riprodotto in pellicola o in digitale per realizzare le stampe da esporre.
Nota a margine
Monica Bisin
In Derma Ottico, Andrea lavora sulla fotografia come se fosse un corpo vivo. L’immagine diventa pelle: fragile, sensibile, capace di portare i segni del tempo e delle trasformazioni.
Le Polaroid non sono presentate come ricordi da conservare intatti, ma come materiali che possono mutare, macerarsi, aprirsi a nuove scritture. L’artista le incide, le bagna, le altera: gesti che non distruggono ma rivelano. In questo processo, ciò che si perde lascia tracce, e ciò che resiste diventa memoria visibile.
Il progetto si muove così contro l’idea della fotografia come “sigillo” immobile del passato. Al contrario, qui l’immagine continua a vivere insieme al tempo, trasformandosi con esso. La memoria non è un archivio chiuso, ma un processo che cambia, che si reinventa, che sopravvive nelle sue cicatrici.
Il ferro arrugginito che ospita le Polaroid non è semplice supporto, ma parte dell’opera: materia che, come l’immagine, porta addosso i segni dell’usura e della storia. Nell’incontro tra fotografia e metallo nasce un’estetica dell’impermanenza, dove la fragilità diventa forza.
Con Derma Ottico, Andrea ci mostra che il valore della memoria non sta nel trattenere ciò che era identico, ma nel custodire ciò che resta, ciò che ancora parla pur dentro alla trasformazione.
NB.
ACQUISTO OPERE
Le opere sono in vendita, montate su lastre di metallo, formato 20x30 cm, come si vede nella prima foto. La lastra è parte dell'opera stessa.
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