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3 date - 3 Laboratori
  

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Alessandro Comandini

Andrea Bernabini

Diego Salvador

Paola Musumeci

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©2022 - Fag - Design by Monica Bisin

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Si replica la Kermesse Torre e dintorni anche nel 2025, arrivata alla 6° edizione. Un evento interamente dedicato alle esposizioni di fotografia con insursioni di sintografia e arte digitale.

 

Organizzazione

A cura di Monica Bisin

Con il Gruppo Artistico Fag Arti Visive

Collaborano: Emma Cassino, Girolamo Mingione

Pcto del Liceo Piccasso

 

Location

L’evento si svolgerà nella caratteristica Torre civica di Pomezia 

Una mostra strettamente collegata a Pomezia che trova nella Torre Civica, simbolo della cittadina, un luogo perfetto per esprimersi al meglio.

La Torre con i suoi spazi essenziali, diventa luogo ideale per “Geografia del silenzio”. Le linee pulite e la luce naturale che filtra dalle finestre creano un contesto perfetto perché le fotografie possano respirare e dialogare senza interferenze. La sobrietà architettonica amplifica la forza delle immagini e il silenzio delle opere si integra con il silenzio dello spazio stesso.

Qui, il visitatore non è semplicemente spettatore: percorre una geografia emotiva fatta di vuoti, pause e riflessi, in cui ogni immagine trova il proprio respiro e ogni gesto della torre risuona con quello del silenzio. La purezza dello spazio diventa così complice della mostra, offrendo una cornice che non distrae ma amplifica l’esperienza interiore, invitando a fermarsi, osservare e ritrovarsi nel cuore del Natale.

 

 

Patrocinio

Con il Patrocinio del Comune di Pomezia 

 

Partners

Fiaf, Federazione Italiana associazioni fotografiche

 

Data 

Dal 5 all’8 dicembre 2025

Presentazione sabato 6 dicembre ore 17.00

 

L’evento ospiterà:

 

Progetto collettivo “GEOGRAFIA DEL SILENZIO”

 

Viviamo in un’epoca che misura il valore delle cose in base al rumore che producono: parole pronunciate troppo in fretta, immagini che chiedono attenzione, notifiche che interrompono ogni pensiero nascente. In questo paesaggio sonoro saturo, la mostra Geografia del silenzio propone un gesto radicale: sottrarsi. Non come fuga, ma come atto di conoscenza.


Il silenzio qui non è assenza, ma materia viva. È un territorio da percorrere, un luogo da abitare. Ogni fotografia è una mappa possibile di questo paesaggio interiore: superfici sospese nel tempo, tracce umane che si fanno eco, oggetti domestici o scenari urbani che smettono di essere sfondo per diventare presenza. Sono immagini che non gridano, ma sussurrano. Chiedono lentezza, disponibilità, ascolto.
È in questo respiro sospeso che il silenzio ci avvicina alla natura. Un dialogo muto in cui ritrovare una postura più essenziale: non dominare, ma sostare; non interpretare, ma percepire. Il silenzio diventa allora un terreno comune — un linguaggio primario in cui l’umano e il naturale si riconoscono senza bisogno di pronunciarsi.


In questo senso, il Natale viene interpretato non come festività, ma come dispositivo temporale: un momento in cui l’intera società — anche quando si affolla di luci e consuetudini — sperimenta una forma di rallentamento simbolico. Le attività si fermano, i ritmi si dilatano, le abitudini vengono sospese. È un intervallo collettivo, un tempo “altro” che permette alla percezione di cambiare registro. Al di là della retorica luminosa, esiste un Natale quieto e sotterraneo: quello in cui il mondo sembra trattenere il fiato…sembra restare in silenzio.

 

Autori e opere

 

Francesco Lupò

Luisa Montagna

Marzia Francesconi

Monica Zorzi

Sonia Berardi

Sonia Berardi

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Luisa Montagna

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Francesco Lupò

Marzia Francesconi

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Monica Zorzi

PROGETTI D'AUTORE

Carmela Quaremba

Tempo Ritrovato

Un viaggio fotografico attraverso varie città d'Europa, in cui il punto comune è l'incontro fortuito e improvviso con l'altro.
L'altro che si rivela nell' intensità di un volto,nelle attese,nelle pieghe della luce, nell'incedere,in una posa, nei silenzi.
In una storia sconosciuta che in un attimo ci passa accanto,c'è tutto il tempo che un giorno abbiamo vissuto.
E così ritorna un pomeriggio lontanissimo,una rivelazione,una preghiera, la scoperta di un luogo,la scena di un vecchio film. Riaffiora il ritornello di una canzone,la luce di una città straniera,la pagina sottolineata di un libro,un viaggio immaginato,quello vissuto, l'abbraccio di chi non c'è piú.
E il tempo che vivremo,di cui non abbiamo che un frammento inconscio di memoria .
Il riconoscimento di parti di sé attraverso l'altro,ovunque nel mondo si trovi.
Il tempo che si ferma solo allora,quando qualcosa di inspiegabile, di effimero,di lontano e familiare, ci cattura

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Cinzia Platania

Astrazioni urbane

Il progetto Astrazioni Urbane, nato all'interno di un più ampio percorso di Platania, la cui ricerca cominciata nel 2016 verte sulla degradazione della materia (Minimalia),  qui si compone di sette opere rappresentative dal tema colorato.

Gli scatti, nati da passaggi casuali nella città di Trieste in cui vive ed opera l'artista, sono concepiti come frammenti di tempo, kairos imprevisti da cogliere al volo con lo smartphone mentre la vita scorre. Minimalia da isolare e fotografare subito. Si tratta di una selezione scelta tra un'ampia raccolta di immagini simili che rimandano alle arti grafiche, un ricco portfolio di suggestioni che vanno dalle più delicate variazioni di griglio alle più sature campiture attraversate da minuscoli elementi che suscitano attenzione: riflessi, gocce, screpolature, striature che danno luogo a inedite configurazioni. 

Le opere presentate esaltano tracce minime su fondi colorati, involontarie sporcature, lembi di scritte a spray, infiorescenze nate da lamiere screpolate che rivelando la ruggine danno luogo a paesaggi surreali, tracce di colla lasciate da adesivi rimossi.

Pali della luce, cofani di automobili, sportelli di furgoncini attempati,  saracinesche raggiunte da furtive scorrerie di ignoti, suggestionano Platania, sempre pronta ad isolarle dal contesto per farne uno scatto preciso.

Sono frame tratti dal "film del laboratorio Vita". Contesti ordinari vedono trarre dalla propria indifferente sussistenza spunti per riflettere sul degrado, che così colto e presentato diviene altro.

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Diego Salvador

La sedia della libertà

Due fotografie, una sola idea: una sedia libera.
In un tempo di guerre, arroganza, dolore, distrazione e smarrimento, quella sedia diventa un luogo possibile — di meditazione, di ascolto, di pensiero. Non un oggetto, ma uno spazio aperto: chiunque può sedersi, contemplare, chiedersi cosa può fare per ritrovare un tranquillo vivere sociale, nel rispetto reciproco e nella possibilità, data a tutti, di vivere serenamente con lo spirito e con il corpo.
Le immagini, scattate con lo smartphone ed elaborate con l’intelligenza artificiale, nascono da un gesto semplice e quotidiano che si fa atto poetico. La tecnologia, qui, non sostituisce lo sguardo: lo amplifica. È complice nel cercare senso nel silenzio.
Come direbbe Benjamin, la sedia restituisce all’immagine un’aura nuova; per Barthes, diventa il punctum che ci tocca; per Sontag, un atto etico di attenzione; e per Flusser, un gesto contro la programmazione automatica del vedere.
La sedia della libertà è il mio modo di ricordare anche con la luce che funge da cornice alle immagini, che anche nell’epoca degli algoritmi, l’arte può ancora accogliere, interrogare, unire e guardare oltre. Due immagini bastano, se riescono a farci sedere — insieme — per pensare.

 

 

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Francesco Lupò

Anime di cemento

Sud Salento. All’improvviso appare qualcosa di enorme ad occupare il paesaggio: il cimitero monumentale di Parabita.
Progettato nel 1967 da Alessandro Anselmi, rappresenta una delle prime architetture in cui riaffiora la memoria della storia dopo l’oblio modernista e dove il “luogo”, sia fisico che simbolico, torna a determinare gli esiti morfologici. Concepito come un insieme di edifici relazionati fra loro attraverso un disegno unitario, è stato regolato in profondità dalla logica dello spazio prospettico, tanto da apparire come “architettura non finita”: un insieme di frammenti in eterna attesa di un nuovo inizio.
Il cimitero si erge come un’imponente testimonianza di architettura brutalista, un luogo in cui carparo e geometrie severe dialogano con la luce e il silenzio, ed è con questo progetto fotografico in bianco e nero che si vuole esplorare l’anima del luogo, esaltando il contrasto tra la rigidità delle strutture e la memoria intangibile che esse custodiscono.
Attraverso un gioco di luci ed ombre, le immagini mettono in risalto la forza espressiva delle superfici ruvide, le forme monumentali e le linee nette che caratterizzano gli edifici. Il bianco e nero non è solo una scelta estetica, ma un mezzo per amplificare la drammaticità del soggetto, sottraendo il superfluo e lasciando emergere l’essenza della materia e dello spazio.
Il percorso visivo si muove tra prospettive imponenti e dettagli nascosti e rivela un’architettura brutalista, spesso pensata fredda e inospitale, che evoca un senso di sacralità e introspezione.
Le fotografie, quindi, non documentano solo il luogo, ma raccontano una storia di assenza e permanenza, dove la memoria collettiva trova forma nel cemento e nella luce.
"Anime di cemento" è un viaggio tra la rigidità della materia e la fluidità del tempo, un invito a osservare il cimitero comunale di Parabita con uno sguardo nuovo, scoprendo la poesia racchiusa nella sua brutalità architettonica.

 

 

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Giovanni Firmani

Catarsi

Che mi voglia liberare da un trauma, che mi voglia purificare moralmente o spiritualmente, che voglia superare il passato, che voglia liberare le mie emozioni, che voglia dimenticare fatti o circostanze per perdonare…

Ogni catarsi presuppone un partire dal basso, un ascendere verso un piano più alto e sottile. Il che implica un percorso non facile, perché per salire bisogna arrampicarsi fino ad arrivare dove…

E ognuno possa avere il suo dove

 

 

Sandro Lombardo

L'arte di non vedere - geometria del silenzio

Il mare e le sue coste esercitano da sempre un fascino silenzioso sullo sguardo del fotografo. In essi risuona un’idea di illuminazione zen: “il vero vedere è quando non c’è più nulla da vedere”.
L’orizzonte, nella sua apparente immobilità, racchiude l’intensità del minimo gesto e dilata il tempo fino a dissolvere la misura umana. È il volto naturale del sublime silenzioso: non un vuoto, ma una presenza trattenuta.

Il mare diventa mappa senza confini, soglia tra visibile e invisibile, spazio di sospensione dove lo sguardo si ferma e respira. È la geografia del silenzio: un luogo dove non si ascolta, ma si contempla.

Come nel concetto giapponese di Ma (), il vuoto non è assenza ma spazio vivo — il respiro che dà forma alle cose. “Il vuoto non è ciò che resta quando qualcosa manca, ma ciò che rende possibile la presenza.”

Minimi segni umani o naturali – una barca lontana, una bagnante, una cornice vuota – rivelano, più che riempire, il vuoto circostante. Così il silenzio non è soggetto, ma condizione.
In questa ripetizione e dissolvenza nasce una temporalità meditativa: lo spettatore entra nel ritmo del ma, nella geometria del silenzio.

 

 

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